Il demone imperfetto, di Daniela Marasco, si presenta come una raccolta di poesie davvero molto interessante, soprattutto alla luce del dissidio che ne è alla base; il titolo rimanda infatti all’umana aspirazione, spesso frustrata e frustrante, di voler conseguire obiettivi impossibili, cercando di tendere a quella perfezione quasi assoluta, utopistica e, pertanto, irraggiungibile nelle nostre esistenze.
D’altronde la ricerca dell’assoluto, di un infinito inarrivabile, ha rappresentato il fil rouge caratterizzante molti autori della letteratura italiana e straniera: dal “titanismo” alfieriano, passando per il Romanticismo fino ad arrivare all’Infinito di leopardiana memoria.
Naturalmente l’impossibilità di perseguire questi traguardi, fortemente idealizzati, genera nell’animo umano sentimenti negativi, quali rabbia, sconforto, frustrazione e dolore che in effetti emergono nelle poesie dell’autrice, rappresentando la pars destruens del suo afflato poetico.
Allo stesso tempo, tuttavia, nei componimenti della raccolta trova spazio anche una pars costruens, costituita da valori positivi, quali l’empatia, l’accoglienza e l’amore, inteso come forza salvifica ed universale, che riscattano il senso dell’esistenza umana e sono evidenti soprattutto nell’ambito della professione dell’autrice, lasciandoci un messaggio costruttivo e di speranza.
La silloge di poesie, quindi, si presenta divisa in due filoni fondamentali: quello dedicato soprattutto alla tematica amorosa, dove, a mio avviso, risultano essere molto significativi componimenti come Colpa, Pioggia, Dentro i tuoi occhi, Tu, Io ti amerò ed Ofelia, e quello incentrato sulla professione dell’autrice, nelle quali il suo lavoro di chirurgo toracico emerge come una vera e propria missione e tra cui spiccano Preghiera del medico, Preghiera del chirurgo, L’ultima notte di guardia e A Dodo.
Per quanto concerne il primo filone, l’amore, spesso personificato, è tratteggiato dall’autrice soprattutto come una forza distruttrice, davanti alla quale non si riesce a trovare pace, descritta anche con il ricorso ad immagini molto forti, spesso prestiti afferenti all’ambito medico, talvolta ai limiti del truculento, i quali sembrano rimandare al linguaggio dei poeti decadenti e al loro relativo gusto per quegli elementi meno convenzionali che solitamente non trovavano diritto di cittadinanza nella poesia canonica, come la decadenza, il marcio, la putredine, il sangue.
Diverse anche le metafore tratte dal mondo militare utilizzate per descrivere il sentimento amoroso, in cui non si possono non ravvisare reminiscenze con la poetica di Guido Cavalcanti, il più pessimista degli stilnovisti, le cui poesie erano caratterizzate da una visione molto negativa dell’amore, considerato fonte di dolore e sofferenza.
A mio parere anche il focus sugli occhi dell’amato, presente in alcune poesie, quali Dentro i tuoi occhi e Il tuo perdono, risente dell’influsso della poesia italiana duecentesca, per la quale il concetto dell’amore che passa attraverso gli occhi aveva un’importanza centrale. Dalla Scuola Siciliana al Dolce Stil Novo si potrebbero citare decine di esempi, pertanto basti ricordare la celeberrima Voi che per gli occhi mi passaste ’l core del già summenzionato Cavalcanti.
Così come appare evidente, a mio avviso, l’influenza petrarchesca, non solo nell’impianto ideologico alla base della raccolta, nel tema del “dissidio”, elemento cardine della poesia del Petrarca, continuamente diviso tra cielo e terra, ma anche nel ricorso ad alcuni calchi lessicali, quale, ad esempio, la parola “pace”, con cui si chiudono Illusione e Dentro i tuoi occhi, chiaro richiamo ad uno dei sonetti petrarcheschi più significativi, Pace non trovo e non ho da far guerra, vera e propria summa del pensiero del poeta toscano.
Interessante da sottolineare è anche la presenza del binomio amore e morte, Eros e Tanatos, come si può riscontrare in Tu, dove l’autrice sembra quasi assolvere l’amato per i suoi limiti e la sua incapacità di corrispondere ad un amore che forse è stato solo una bella illusione e nella quale il riferimento a lui come possibile occasione della sua morte non può non rinviarci al componimento di Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Tema analogo presente anche in Ofelia, poesia così fortemente icastica che leggendola sembra quasi di trovarsi davanti al noto dipinto di John Everett Millais.
Le poesie di argomento medico sono quelle in cui, per quanto sia sempre fortemente presente il binomio vita vs morte, lo slancio vitalistico sembra essere più potente, specie in Preghiera del medico e Preghiera del chirurgo, dove emerge tutto l’amore e la dedizione dell’autrice per la sua professione, nonché la consapevolezza di svolgere una missione salvifica sia per i suoi pazienti che, allo stesso tempo, per lei stessa, e della quale avverte tutta la responsabilità, tanto da chiedere aiuto a Dio in quello che è un compito difficile e dal valore quasi sacrale.
Particolarmente delicata e struggente risulta poi essere A Dodò, dedicata ad una sua giovane paziente scomparsa, Donatella Cibelli, rappresentata come “una stellina d’argento, un piccolo angelo dalle alucce fatate”.
Infine vorrei soffermarmi su due componimenti che rappresentano molto bene la summa del pensiero dell’autrice, strettamente legati tra loro tanto che potrebbero anche costituire un dittico: Io ti amerò e Il rogo. In entrambi, infatti, sono messe in evidenza tutte quelle illusioni che alimentano il “fuoco di un demone imperfetto”, quali i ricordi, la paura, il rispetto delle regole, la scienza, la sete di libertà, le promesse e le vuote attese. Esse quindi, per quanto dolorose, appaiono tuttavia impossibili da superare se l’autrice continua a sostenere che il suo “amore va al di là di ogni tempo e convenienza” e ciò perché sono intrinseche alla natura umana.
La raccolta, pertanto, non si chiude offrendo soluzioni, non supera l’eterno dissidio fra le illusioni e la realtà, ma semplicemente riconosce come esso sia parte integrante ed imprescindibile dell’animo umano, da sempre e per sempre.
E proprio la capacità di rappresentare in maniera profonda questa dicotomia che sembra essere insolubile costituisce il tratto di maggior interesse della silloge, in quanto consente al lettore di identificarsi nelle poesie e di immergersi in esse alla ricerca del “suo” demone imperfetto.