L’ultimo saggio storico che ho avuto modo di leggere in questo periodo è il volume Il prefetto e i briganti, scritto da Giuseppe Ferraro, dottore di ricerca dell’Università di San Marino e vincitore dell’edizione del 2016 del premio Spadolini proprio per quest’opera.
Il libro di Ferraro, che rappresenta il suo lavoro di tesi di dottorato in Storia Contemporanea, è incentrato sul governo della provincia di Cosenza nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, dal 1861 al 1865.
In particolare la vicenda si snoda intorno alla figura del prefetto Enrico Guicciardi, nobile valtellinese, patriota della prima ora, inviato nell’allora Calabria Citra per governarla e, soprattutto, fronteggiare l’annosa questione del brigantaggio, spina nel fianco del neonato stato unitario.
E, in effetti, come si evince dal titolo, due sono i poli fondamentali della vicenda: Guicciardi, il prefetto, appunto, il quale rappresenta lo Stato, spesso in difficoltà nell’amministrare una terra non facile da comprendere, e i briganti, che di essa rappresentano forse l’espressione più estremizzata e violenta, ma, allo stesso tempo, anche la più tragicamente veritiera e speculare.
Il saggio si sofferma molto sui provvedimenti messi in atto dal prefetto per sgominare il brigantaggio nella provincia cosentina, ma, contemporaneamente, ci dipinge un affresco assai preciso e realistico del Mezzogiorno post-unitario. Nei 6 capitoli in cui esso si divide sono infatti trattati diversi temi significativi: i collegamenti fra i ceti dirigenti locali e i briganti, i contrasti fra potere politico e militare, il problema, mai risolto, della divisione dei demani, spesso causa di gravi conflitti sociali e le difficoltà di governo dei Piemontesi, alle prese con terra bella e selvaggia, difficile da gestire e, ancora di più, da comprendere.
Particolarmente significativa è poi la critica alle èlites locali, interessate solo al mantenimento dello status quo, incapaci di uscire dalle loro meschine logiche utilitaristiche e di avere una visione progressista, che potesse migliorare le condizioni di vita del territorio, e spesso colluse con i briganti, usati come mere pedine di un gioco più grande di loro.
Molto ben tratteggiati anche i personaggi storici citati nel libro: Enrico Guicciardi in primis, uomo delle istituzioni, forte e deciso, animato da un profondo senso del dovere e dello Stato; Pietro Fumel, colonnello della Guardia Nazionale dai metodi poco ortodossi, capace di ottenere grandi risultati nella lotta al brigantaggio, braccio armato, nonché alleato fedele del prefetto; il generale Pallavicini, simbolo vivente del contrasto tra il potere politico e quello militare, in combutta con la locale classe dirigente, che gli si affiderà per ridimensionare Guicciardi, avvertito come un pericolo per la sua fedeltà allo stato e la sua abilità nello smascherare i maneggi dei signori con i briganti.
Il saggio quindi si presenta molto ben costruito per l’abilità del suo autore di destreggiarsi abilmente tra micro-storia e macro-storia, di passare, in un’ottica transcalare, da una prospettiva locale, e particolare, ad una più globale e generale, presentando le vicende di una singola provincia, che svolge il ruolo di case-study, come paradigma di tutto il Mezzogiorno post-unitario, mostrando con grande veridicità le problematiche che lo caratterizzavano e che, per certi aspetti, ancora oggi sono presenti, affondando le loro radici proprio in quegli anni.
Certamente da leggere quindi, per avere una visione più chiara e precisa di uno dei periodi più intensi e controversi della nostra storia