Avevo avuto modo di ascoltare la presentazione di Patrimonio al futuro, del prof. Giuliano Volpe, lo scorso novembre, alla Fondazione Banca del Monte e mi aveva da subito incuriosita ed interessata. Nel suo saggio il prof. Volpe si concentra sulla situazione dei beni culturali e del paesaggio nel nostro Paese, fornendo diversi spunti di riflessione molto interessanti ed innovativi. In primo luogo mette in evidenza la necessità di avere una visione globale, olistica del patrimonio culturale e paesaggistico, che sia in grado di superare una concezione settoriale e disciplinare, risultato che, per esempio, si potrebbe ottenere organizzando il Ministero dei Beni Culturali con strutture periferiche uniche a base territoriale, dotate di competenze multidisciplinari ed organizzate in équipe miste. A tal proposito, non posso esimermi dal segnalare una notizia di queste ore: l’apertura a Foggia di una delle tre Soprintendenze ai Beni Culturali pugliesi, soluzione prospettata proprio in Patrimonio al futuro. Altro tema cardine del saggio è poi la necessità di avvicinare anche un pubblico non specialistico alla cultura, di rendere fruibili i beni culturali, superando quella linea di demarcazione che spesso divide gli esperti della materia dai profani. La questione per il prof. Volpe è capitale, perché è legata al futuro stesso dei beni culturali in Italia, che troppo spesso sono stati sentiti dai settori accademici e specialistici più retrivi quasi come una proprietà privata, un tesoro per pochi accoliti, da custodire gelosamente, come in una torre eburnea inaccessibile ai più, causando un serio danno, dato che un museo, un parco archeologico, un qualsiasi altro bene del nostro patrimonio artistico-culturale, in quanto appartenenti a tutta una comunità, devono essere compresi appieno da tutti coloro che ne fruiscono, affinchè la loro bellezza e il loro valore non vadano sprecati. Solo in questo modo, infatti, sarà possibile colmare il grande gap che purtroppo si è venuto a creare nella conoscenza delle nostre bellezze artistiche e che certamente, per fare un esempio concreto, le didascalie incomprensibili che accompagnano le opere in molti musei, non aiutano certamente a sanare. Purtroppo non è facile ottenere risultati in questo senso, perché c’è ancora una parte cospicua di addetti ai lavori che oppone resistenze, rimanendo legata a schemi superati, credendo che la cultura sia un lusso per pochi depositari del sapere, portatori di una visione sacrale, religiosa del patrimonio culturale. L’atteggiamento corretto da tenere nei confronti della tradizione sarebbe quindi quello suggerito da una bellissima frase di Mahler, ripresa da Papa Francesco qualche tempo fa e citata nel libro dal prof. Volpe: “Fedeltà alla tradizione significa tenere vivo il fuoco, non adorarne le ceneri”. Fortunatamente ci sono anche coloro che hanno recepito questo concetto e hanno provato ad attuarlo con proposte interessanti e innovative, come quella dell’archeologo Daniele Manacorda, che ha suggerito di ricostruire l’arena del Colosseo, restituendogli l’aspetto originario, proprio per favorire l’intellegibilità del monumento, che non deve certo considerarsi un simulacro intoccabile. Il saggio, quindi, ha al centro l’idea di una cultura inclusiva, non elitaria, che potrà essere pienamente realizzata solo attraverso un’alleanza degli innovatori ed è senza dubbio una lettura che consiglio anche ai non addetti ai lavori per la prospettiva chiara, puntuale e progressista con la quale è affrontato il tema del nostro patrimonio culturale e paesaggistico, troppe volte percepito distante e come mero testimone delle vestigia di un passato lontano. Il prof. Volpe, quindi, a mio avviso, ha avuto la capacità di spalancare una porta sull’orizzonte futuro, aprendo una discussione che sono certa porterà ottimi e proficui frutti nel nostro panorama culturale.